Alle Grazie Vostre parrà di certo che il merluzzo sia un piatto plebeo e non mi sento di dar loro torto. Ma c’è merluzzo e merluzzo. Il mio è stato pescato sui banchi di Terranova dal più audace marinaio del golfo di Guascogna. E’ merluzzo di prima qualità, bianco, prelibato, morbido, ottimo fritto in olio di Aix, migliore del salmone, del tonno e del pesce spada. Il Santo Padre stesso – possa concederci indulgenze! – non vuol altro che questo in tempo di quaresima e lo mangia anche il venerdì e il sabato e negli altri giorni di magro, quando è stufo di alzavole e folaghe. Pierre Lestorbat, mio fornitore, lo è pure di Sua Santità. Il merluzzo del Santo Padre non è da buttar via e le Signorie Vostre non ardiranno dirne male perché in tal caso non sarebbero dei buoni cattolici.
Esclama il Capitan Fracassa.
In obbedienza devota e assoluta delle indicazioni del Concilio di Trento (1545 – 1563), su quaresime e mangiar di magro, la cattolica progenie ligia d’animo e timorosa dei fulmini celesti, al contempo povera di ducati e per immaturità dei secoli priva di frigoriferi e congelatori, lontana dal mare, carpe e trote riservate a conventi e monasteri, dello splendido signore di Terranova e del Baltico ne fece colonna di sostegno alla propria devozione.
Al punto che, sia esso salato o secco, cuoche e cucinieri sia di corte che di taverna, di reggia o di stamberga, dall’umido e piovoso nord al caldo e soleggiato sud, ne crearono, un po’ per merito un po’ per caso, piatti di gran conto nei loro usi alimentari. Così esiste un modo di fare baccalà per ogni nazione e città d’Europa, in ispecie per l’Italia, comunarda e rissosa; Piscistocco alla missinisa, alla veneta in saor, alla vicentina, alla genovese, all’anconitana, baccalà alla fiorentina, alla livornese, alla piemontese, etcetera etcetera…
Napoli, non è da meno: ma l’editoria napoletana di cucina, considerandolo cibo da pezzenti e rivolgendosi a cucina nobiliare o di corte, finge di non conoscerlo; mai nemmeno citato nella “Lucerna de’ cortegiani ”, Antonio Latini lo liquida in poche parole: «dopo che sarà salato, si può sfumare e seccare al sole, con servirsene poi all’uso spagnuolo». Vincenzo Corrado lo ignora del tutto e così pure M.F. nelle 173 ricette della sua “Cucina casereccia”.
Bisogna attendere il 1837 e Ippolito Cavalcanti per trovare scrittura di come si prepara. Tra i tanti altri, quello che chiama Baccalà a lo tiano e che ben presto diventerà il “baccalà alla napoletana” per antonomasia:
Piglia sempe lo baccalà chiù duppio, e che tene la scorza nera, pecchè è chiù salatiello, e lo lavarraje buono; po piglia no tiano, nce miette l’uoglio fino e na cepolla ntretata, e la farraje zoffriere; quanno s’è fatta rossa nce miette no poco d’acqua, passe, pignuoli, e petrosino ntretato; farraje ncorporà ogni cosa, e quanno volle nce miette lo baccalà. Quanno è lo tiempo de le pommadore, lo può fa mbrogliato dint’a chella sauza, mperò scaudato primma.
Da quei giorni il percorso è stato lungo*, ma alla fine… Sapere che a mezzogiorno c’era il baccalà fritto o in tortiera, o il mussillo con aglio, prezzemolo e limone, o lo stocco bollito con patate e pomodori, significava stabilire una grande attesa, un premio per le migliaia di napoletani che ne erano golosi e che lo consideravano uno dei cibi più prelibati della gastronomia locale. Anche il baccalà, come la pizza e gli spaghetti, è diventato quasi esclusivamente napoletano per i modi di cuocerlo.
…il baccalà arrivò dappertutto, cominciando a essere consumato come uno dei più igienici e sostanziosi cibi. E proprio perché col tempo divenne il mangiare dei poveri, dacché aveva onorato le mense dei papi, il baccalà finì per diventare piatto di cantine e trattorie. Oggi la sua importanza ricomincia a salire. (…) Napoletano il baccalà perché a Napoli, come si dice, ha trovato la sua morte. A Napoli vi hanno aggiunto il pomodoro e i capperi. A Napoli il mussillo viene mangiato con limone, prezzemolo e aglio come i più regali pesci freschi di gran lignaggio.
Domenico Rea
*Questa e le sue altre numerose ricette saranno riprese dopo oltre un secolo da moderne vestali e sacerdoti della cucina partenopea: Jeanne Carola, Maria Rivieccio Zaniboni, Enzo Avitabile.
Filetto di baccala 600g,
Pomodori del piennolo o San Marzano 1/2k,
Prezzemolo e basilico qb,
Olive 100g,
Capperi 30g,
Aglio 2 spicchi,
Farina qb,
Sale qb,
Pepe qb,
Olio di semi di girasole qb,
Olio extravergine qb.
Per il brodo di baccalà
Sfilettate il baccala e ricavatene dei bei tranci. Teneteli da parte.
Con gli scarti: la lisca e la pelle del baccala preparate un brodo rosolandoli con un filo d’olio, dell’aglio in camicia dei gambi di prezzemolo e il basilico. Bagnate con 2 litri d’Acqua fredda e ghiaccio. Lasciare cuocere il tempo necessario a ridurre il brodo alla meta del liquido di partenza.
Filtrate con un colino.
Per la salsa
Fate rosolare l’aglio con l’olio le olive e i capperi aggiungete i pomodori del piennolo tagliati una parte a meta e una parte lasciandoli interi, bagnate con il brodo di baccalà.
Per la salsa
Dopo aver tamponato bene i tranci di baccalà infarinateli e friggeteli in abbondante olio di semi di girasole ad una temperatura di 170 gradi.
Finitura
Ripassate i tranci di baccalà precedentemente fritti nella salsa per 3/4 minuti avendo cura di nappare in continuazione. Impiantate.
Il segreto dello Chef
Per la riuscita della ricetta, bisogna aver cura di infarinare bene i tranci di baccalà prima di friggerli. Così facendo la salsa farà il suo dovere e il baccalà preserverà la consistenza e il morso.